Origine e significato del termine sono incerti. Secondo i più deriverebbe da beat (battuta musicale); secondo altri da to beat (colpire, percuotere).
Ma Jack Kerouac, guru della Beat Generation, ha dichiarato: "Beat vuol dire beato. L'ho inventato io."
...così, per la serie "Gli uomini del pericoloso forse":
Jack Kerouac
Capito lo zio Jack e i suoi a che razza di storia hanno dato il La?
Nel morente 2007 sono scoccati i 50 anni dall'uscita di "On the road", chiave di volta e arnese da scasso di tutto un movimento, che tra una pazza corsa transcontinentale e l'altra ha preso ha schiaffi la poesia, la prosa, la musica, la pittura, la scultura, facendogli sputare tutti i denti, unitamente a una serie di Capolavori che ben esulano dal contesto della cultura pop.
Già, perchè qui si parla di Allen Ginsberg, Gregory Corso, William Burroughs , Kerouac stesso, più un altro manipolo di eroi la cui arte, nella sonnolente America del secondo mandato Eisenhower, fece l'effetto un raudo lanciato in una veglia funebre.
E nei suoi romanzi Kerouac racconta le avventure di questo clan, per la cui unità si battè per tutta la prima parte della sua vita, ma che il successo personale dei protagonisti minò fin quasi da subito, e per ironia della sorte spesso proprio a causa dei resoconti delle pazze avventure del Gruppo, descritte da Kerouac fin troppo onestamente e minuziosamente - vedi il dissodio mai veramente ricomposto tra Jack e Neal Cassady, a causa di certi passi di "On the road").
Kerouac è lo splendido ritrattista dell' America della prima presa di coscienza di giovani e masse, e ci offre nel suo progetto de "La leggenda di Jack Duluoz" ("i miei libri sono da interdere come un'unica opera, come la "Recherche", solo che non è scritta con il distacco del letto di morte, ma in presa diretta, nel pieno dell'azione stessa") un'inestimabile biografia collettiva, descrizioni folgoranti di un paese che lui e i suoi andavano vagado in una spensieratezza omerica e più grande della vita stessa e dei suoi vincoli, che loro, tanto per tanto, sperimentarono tutti sulla propria pelle. E portando nel frattempo avanti tutte le battaglie che caratterizzeranno poi il definitivo risveglio dei giovani di tutto il mondo che sfoceranno nel maggio francese del decennio successivo (e che ancora una volta da S.Francisco prese le mosse): istanze di libertà personale, obiezione di coscienza al servizio militare, emancipazione femminile, rivendicazione dei diritti delle persone di colore e delle persone omosessuali.
E il mio Kerouac preferito, quello de "I vagabondi del Dharma", una prosa folgorante ma delicatissima, un balsamo di libertà, introspezione e continua meraviglia nei confronti della vita e delle sue manifestazioni (il libro è permeato dell'amore di Jack per la filosofia buddista).
Il Kerouac pensieroso e confuso di "Desolation Angels", che ci porta dall'Alaska al Messico all'Europa, alla ricerca della pace e che scriverà un memorabile passaggio riguardante lui che si sta imboscando per prendere il treno al volo e viene sorpreso da 2 poliziotti che gli chiedono dove stia andando: "Curiosamente la stessa domanda mi venne posta un anno estto dopo, negli studi dell'ABC a New York. Ma come non lo puoi dire alla polizia non lo puoi nemmeno dire in TV che semplicemente stai andando a crecare un po'di pace..."
O il terribile Kerouac di "Big Sur", colto da delirium tremens nel capanno di Ferlinghetti davanti all'oceano, e lui coraggioso fino in fondo (non per niente era un devoto della lezione di coraggio dei grandi della Lost Generation) ci racconta tutto, un vero viaggio all'inferno visto con gli occhi di un uomo che si scopre gravemente malato di alcolismo.
E l'immagine che chiunque abbia leto il libro non dimenticherà mai: quella dell'alba del secondo giorno di delirio, in cui alla fine di mille visioni provocategli dall'intossicazione cronica gli si staglia nettamente davanti la Croce, presegio di come finiranno le cose.
O tanti altri Kerouac, che sembra ci parlino direttamente da dentro ("E' lo shock telepatico, io scrivo esperienze comuni a tutti gli uomini e arriva un punto che il lettore comprende esattamente e si pone nello stesso punto d'osservazione e improvvisamente capisce che è anche il suo").
Il Kerouac che dal rifugio in montagna descrive i muri di mattoni rossi della sua Lowell di un tardo pomeriggio dell'autunno del '35;
Il Kerouac che gira intimorito dall'altezzosità degli hipsters sulla North Beach di S.Francisco (mentre pochi anni prima, lui stesso, quarterback della squadra di football, duro Teddy Boy con viso e fisico da attore) li ammazzava di botte in compagnia degli americani WASP della sua squadra.
Un paio di mesi fa la mia amica libraia mi diceva "Kerouac? Ma nel 2007 c'è ancora qualcuno che legge Kerouac?"
Io credo di sì. Anche perchè per trovare una simile esplosione di talento puro bisogna probabilmente passare al campo dell poesia e tirare fuori Rimbaud.
Nella prosa di Kerouac non c'è neppure un grammo di mestiere. Ecco il valore in sè, e il grande limite. Nelle milioni di cartelle (sempre se, come nel caso di "on the road", non sia tutto il romanzo scritto su un lunghissimo rotolo) non esistono battute a vuoto o intrecci sovrapposti. Niente. Esperienze, vitalismo e vaffanculo. E poi vedremo.
E pensare che la musica che animava i suoi viaggi non era il rock - per il semplice motivo che stava emettendo i primi vagiti proprio quell'anno- ma il bop. Per la precisione l'hard-bop. E a volte, come quando la scena si sposta a Chicago o Kansas City, le grandi orchestre jazz.
...bè, visto di chi stiamo parlando si potrebbe scrivere da qui al 2011.
Ma non corriamo troppo e fermiamoci qui.
Ci rivediamo nel 2008.
E che sia un anno fantastico per tutti voi.