martedì, luglio 13, 2010
Warm Morning - "Too Far From The Stars" aka "cari folksters, indiepoppers e cantautorucoli da figa, questi 2 qui vi fanno un culo che non finisce più"
I primi passi nel 2002, nel 2007 fanno uscire per Shelflife il combinato EP + CD "Silver Rain" e il mese scorso è uscito Per Universal Records / Shiny Happy Records (label Filippina una e Indonesiana l'altra) il nuovissimo "Too Far From The Star", che è un disco a dir poco splendido.
"...Nessuno è in grado di maneggiare arrangiamenti e “gusto” primi 70s come loro: i Warm Morning sono completamente autonomi e calati nella realtà che è stata di Burt Bacharach, di Dennis Wilson, di Scott Walker, di Lennon, di Lee Hazlewood, e più recentemente di Divine Comedy e Kings Of Convenience. Questi nomi servono per farsi un'idea della “connotazione” dei fratelli acustici, che in questo album giocano con armonie solari e si fanno accompagnare da archi, piano, banjo, ukulele e mellotron: una vera e propria “orchestrina” come si faceva nel passato, per “fare” un disco, non produrlo..."
Dalla recensione su Retrohobic.com (leggila tutta qui).
Io l'ho ascoltato diverso tempo fa in anteprima perchè Simone Modicamore, metà dei Warm Morning, è il chitarrista dei Temponauts. E Andrea, fratello di Simone, l'altra metà dei Warm Morning è quello che suona l'armonica in "Operation: Coroner", su A Million Year Picnic, per esempio.
A me ha fatto un effetto pazzesco, tipo Brian & Dennis Wilson contro il Lennon 70's, con dietro i Buffalo Springfield a sostenere tutto...da asoltare e riascoltare e poi ancora, e ancora...
Vabè, questi due sono grandissimi, andateveli a sentire qui e fatevi un piacere: ordinate subito il disco. Qui.
(...che non ve ne pentirete, state certi, questa è roba da seria A, anche gli ascoltatori più sgamati e sofisticati rimarranno a bocca aperta!)
lunedì, luglio 12, 2010
"Dani Jarque siempre con nosotros"
Il mondiale è finito, con una partita brutta e un gesto bellissimo.
Che ragazzo Iniesta, che ha dedicato il gol più importante della sua vita al suo amico Dani Jarque, lo sfortunato capitano dell'Espanyol, morto proprio un anno fa.
Che mondiale del cazzo. La Germania sembrava il Brasile, l'Olanda sembrava l'Uruguay, l'Italia sembrava la Borgonovese, la Francia il Pontecurone, Il Brasile sembrava la DDR, L'Uruguay con un portiere vero chissà, e la Spagna, gli odiosi primi della classe, alla fine hanno vinto. Solo l'Inghilterra è rimasta inguardabilmente fedele a sè stessa.
Uniche consolazioni: il Brasile non ha preso la sesta stella, i tedeschi (sempre più insopportabili, con le loro tirate anti-italiane) non hanno preso la quarta (e stanno dietro, se li avessimo incontrati, anche da questa nazionale dell'ACR le avrebbero prese), e i francesi sono riuciti nel miracolo di far peggio di noi (ma anche qui è da vedere, almeno loro si sono accorti di avere in panchina un demente e si sono ribellati, perchè ad un certo punto i francesi si ribellano giustamente, LORO!)
Bon, fine del mondiale.
Che ragazzo Iniesta, che ha dedicato il gol più importante della sua vita al suo amico Dani Jarque, lo sfortunato capitano dell'Espanyol, morto proprio un anno fa.
Che mondiale del cazzo. La Germania sembrava il Brasile, l'Olanda sembrava l'Uruguay, l'Italia sembrava la Borgonovese, la Francia il Pontecurone, Il Brasile sembrava la DDR, L'Uruguay con un portiere vero chissà, e la Spagna, gli odiosi primi della classe, alla fine hanno vinto. Solo l'Inghilterra è rimasta inguardabilmente fedele a sè stessa.
Uniche consolazioni: il Brasile non ha preso la sesta stella, i tedeschi (sempre più insopportabili, con le loro tirate anti-italiane) non hanno preso la quarta (e stanno dietro, se li avessimo incontrati, anche da questa nazionale dell'ACR le avrebbero prese), e i francesi sono riuciti nel miracolo di far peggio di noi (ma anche qui è da vedere, almeno loro si sono accorti di avere in panchina un demente e si sono ribellati, perchè ad un certo punto i francesi si ribellano giustamente, LORO!)
Bon, fine del mondiale.
venerdì, luglio 09, 2010
2+2=5. Ci siamo.
Secondo me al concetto di libertà bisogna applicare le leggi dell'ineluttabile: un numero è pari o dispari, se diciamo che "l'informazione è abbastanza libera" è come riferirsi al numero 3 e dire che "è abbastanza dispari". O è pari o è dispari, o si è liberi o si è fottuti.
domenica, luglio 04, 2010
Obdulio Varela, il Maracanaço e l'Uruguay campione del mondo 1950.
Visto che è resuscitato il blog, ecco resuscitata anche l'unica rubrica mai apparsa qui:
Per la serie "gli uomini del pericoloso forse": Obdulio Varela.
Quando l’arbitro Reader fischiò la fine il clima era surreale. Sugli spalti decine di persone vennero colte da infarto (almeno 10 morirono) e il suono delle ambulanze accompagnò il pianto degli affranti e increduli giocatori brasiliani. Persino gli uruguaiani sembravano non realizzare quello che stava accadendo. Le autorità brasiliane scomparvero dal palco della premiazione, lasciando il solo Jules Rimet a premiare i Celesti. Lo stesso Rimet pareva imbarazzato: allorché il capitano uruguaiano Varela gli si avvicinò, il presidente della FIFA si limitò a consegnargli la coppa, senza dire una parola...
E' il 16 luglio del 1950, il Maracanà, il nuovo stadio di Rio de Janeiro costruito e progettato proprio per celebrare il trionfo del Brasile, è straboccante di 200.000 persone urlanti e festanti perchè Friaca ha appena segnato l' 1 a 0 della squadra di casa sull'Uruguay.
Obdulio Jacinto Muiños Varela, detto "El Negro Jefe" ha 33 anni, gioca col numero 5, è un ex centrocampista riadattato prima a centrale difensivo, poi a libero. E' povero, appena sufficiente nei fondamentali, ed ha tutto per essere la vittima designata del destino.
All'ingresso in campo delle squadre aveva richiamato i giocatori della Celeste "Non guardate le tribune! Quelli non giocano, la partita è qui sotto", e quando l'arbitro avvicina i due capitani per il lancio della moneta per palla/campo Varela lo ferma e lascia la scelta ai Brasiliani. Gli aveva detto: "Signor arbitro, lasci al Brasile la consolazione di scegliere. Perché saremo noi i campioni del mondo".
Ora Varela va in fondo al sacco a recuperare la palla, protesta con l'arbitro per un fuorigioco e si avvia verso il centrocampo guardando negli occhi i giocatori in maglia bianca (che il Brasile vestiva abitualmente, almeno fino a quella notte), chiede un interprete, polemizza col segnalinee e dopo 3 minuti buoni poggia il pallone sul disco di centrocampo. Nel frattempo 200 mila persone lo insultano senza sosta e i giocatori del Brasile si innervosiscono. Si gira verso Schiaffino (che nell'intervallo aveva preso a schiaffi perchè lo aveva visto demotivato) e gli dice: Questa partita la vinciamo noi. E al ventunesimo del secondo tempo La Celeste pareggia. Varela passa a Ghiggia, largo sulla destra, Ghiggia crossa al centro per Schiaffino, che è libero ed ha anche il tempo per prendere la mira: gran botta e il portiere brasiliano Barbosa è fulminato. E' l'1 a 1. Il Brasile è ancora campione, gli basta un pareggio. Ma come ebbe a dire un giorno Omar Míguez (centravanti del Penarol e della nazionale) «Quel giorno era scritto che dovessimo vincere noi, non temevamo né Dio né demonio. Se Máspoli avesse giocato da centravanti avrebbe segnato due gol, e se in porta avessi giocato io, avrei parato due rigori».
E infatti al trentaquattresimo avviene il miracolo: Ghiggia triangola a centrocampo con Julio Perez, che lo rilancia largo sulla destra. In mezzo all'area accorrono Minguez e Schiaffino, e Barbosa fa un passo verso di loro. Il terzino destro del Brasile gli si avvicina per coprire il cross, Ghiggia chiude gli occhi e tira la botta. E' il 2 a 1 che si insacca sul primo palo del portiere e va a colpire la bamboletta portafortuna che Barbosa tiene in fondo alla sua porta. Cala il silenzio più assordante della storia del Brasile, Ghiggia ebbe a dire anni dopo "Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanã con un gesto: Frank Sinatra, il Papa e io".
Con questo risultato l'Uruguay è campione. il Brasile è una bestia ferita e impazzita, 10 uomini in area Celeste. E Varela urla come un forsennato, (la leggende dice che lo si sente fin da fuori il colossale impianto), dirige la difesa, prende a sberle i suoi. Fino al fischio finale che laurea l'Uruguay campione del mondo per la seconda volta.
L'Uruguay fu sfollato a forza dal campo, il Maracanà non aveva transenne nè reti di protezione, e i giocatori vennero immediatamente messi su un aereo per Montevideo. Nel tragitto Ghiggia venne raggiunto e gliene diedero talmente tante che fu costretto in stampelle per quasi un anno.
Quel giorno è ricordato come "Maracanaço", il disastro del Maracanà.
La Seleçao cambio la maglia, passando dal completo bianco ad una strana maglia azzurra, che fu la divisa ufficiale fino al 1954, quando adottò definitivamente l'attuale divisa con maglia oro e pantaloncini blu.
Ary Barroso, il musicista-giornalista che aveva commentato la partita per la radio lasciò il giornalismo e non commentò mai più una partita di calcio.
Flàvio Costa, l'allenatore del Brasile, fuggì in Portogallo dopo aver ricevuto minacce di morte, e non ritornò fino al 1955, quando si risedette sulla panchina del Flamengo e della Seleçao.
Il portiere Barbosa fu additato per il resto della sua vita come responsabile della disfatta, morì per un attacco cardiaco a settantanove anni, dopo aver trascorso il resto della sua esistenza nell'indifferenza generale.
Nel 1955 il difensore brasiliano Danilo, che non aveva mai superato il trauma del Maracanaço e da 5 anni viveva affetto da grave depressione, tentò il suicidio.
Juan Alberto Schiaffino disse: "Eravamo felici e imbarazzati, allegri e commossi. Mai avevamo visto, né avremmo visto, un popolo soffrire in quel modo. Sentivamo, appena, qualche singhiozzo. L'atmosfera era da film. Da film del terrore".
Osvaldo Soriano, nel suo bellissimo "Fùtbol" racconta un'altra storia:
"Quella notte Obdulio non lascia Rio. Si confonde fra i tanti brasiliani che prendono d’assalto, disperati, i tanti bar della città. Beve con loro, ne condivide l’amarezza. E’ una strana notte di gioia e lacrime, che racconta con queste parole: “Il proprietario del bar si è avvicinato a noi insieme a quel tizio grande e grosso che piangeva. Gli ha detto: – Lo sa chi è questo qui? E’ Obdulio – . Io ho pensato che il tizio mi avrebbe ammazzato. Ma mi ha guardato, mi ha abbracciato e ha continuato a piangere. Subito dopo mi ha detto: – Obdulio, accetta di venire a bere un bicchiere con noi? Vogliamo dimenticare, capisce? Come potevo dirgli di no? Abbiamo passato tutta la notte a sbevazzare da un bar all’altro"
Obdulio Varela non si vantò mai di quanto fatto. Le poche volte che parlava di quello che era successo quel giorno, diceva: «Gli abbiamo rovinato la festa, non ne avevamo il diritto e, se rigiocassimo cento volte, perderemmo tutte e cento».
Per la serie "gli uomini del pericoloso forse": Obdulio Varela.
Quando l’arbitro Reader fischiò la fine il clima era surreale. Sugli spalti decine di persone vennero colte da infarto (almeno 10 morirono) e il suono delle ambulanze accompagnò il pianto degli affranti e increduli giocatori brasiliani. Persino gli uruguaiani sembravano non realizzare quello che stava accadendo. Le autorità brasiliane scomparvero dal palco della premiazione, lasciando il solo Jules Rimet a premiare i Celesti. Lo stesso Rimet pareva imbarazzato: allorché il capitano uruguaiano Varela gli si avvicinò, il presidente della FIFA si limitò a consegnargli la coppa, senza dire una parola...
E' il 16 luglio del 1950, il Maracanà, il nuovo stadio di Rio de Janeiro costruito e progettato proprio per celebrare il trionfo del Brasile, è straboccante di 200.000 persone urlanti e festanti perchè Friaca ha appena segnato l' 1 a 0 della squadra di casa sull'Uruguay.
Obdulio Jacinto Muiños Varela, detto "El Negro Jefe" ha 33 anni, gioca col numero 5, è un ex centrocampista riadattato prima a centrale difensivo, poi a libero. E' povero, appena sufficiente nei fondamentali, ed ha tutto per essere la vittima designata del destino.
All'ingresso in campo delle squadre aveva richiamato i giocatori della Celeste "Non guardate le tribune! Quelli non giocano, la partita è qui sotto", e quando l'arbitro avvicina i due capitani per il lancio della moneta per palla/campo Varela lo ferma e lascia la scelta ai Brasiliani. Gli aveva detto: "Signor arbitro, lasci al Brasile la consolazione di scegliere. Perché saremo noi i campioni del mondo".
Ora Varela va in fondo al sacco a recuperare la palla, protesta con l'arbitro per un fuorigioco e si avvia verso il centrocampo guardando negli occhi i giocatori in maglia bianca (che il Brasile vestiva abitualmente, almeno fino a quella notte), chiede un interprete, polemizza col segnalinee e dopo 3 minuti buoni poggia il pallone sul disco di centrocampo. Nel frattempo 200 mila persone lo insultano senza sosta e i giocatori del Brasile si innervosiscono. Si gira verso Schiaffino (che nell'intervallo aveva preso a schiaffi perchè lo aveva visto demotivato) e gli dice: Questa partita la vinciamo noi. E al ventunesimo del secondo tempo La Celeste pareggia. Varela passa a Ghiggia, largo sulla destra, Ghiggia crossa al centro per Schiaffino, che è libero ed ha anche il tempo per prendere la mira: gran botta e il portiere brasiliano Barbosa è fulminato. E' l'1 a 1. Il Brasile è ancora campione, gli basta un pareggio. Ma come ebbe a dire un giorno Omar Míguez (centravanti del Penarol e della nazionale) «Quel giorno era scritto che dovessimo vincere noi, non temevamo né Dio né demonio. Se Máspoli avesse giocato da centravanti avrebbe segnato due gol, e se in porta avessi giocato io, avrei parato due rigori».
E infatti al trentaquattresimo avviene il miracolo: Ghiggia triangola a centrocampo con Julio Perez, che lo rilancia largo sulla destra. In mezzo all'area accorrono Minguez e Schiaffino, e Barbosa fa un passo verso di loro. Il terzino destro del Brasile gli si avvicina per coprire il cross, Ghiggia chiude gli occhi e tira la botta. E' il 2 a 1 che si insacca sul primo palo del portiere e va a colpire la bamboletta portafortuna che Barbosa tiene in fondo alla sua porta. Cala il silenzio più assordante della storia del Brasile, Ghiggia ebbe a dire anni dopo "Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanã con un gesto: Frank Sinatra, il Papa e io".
Con questo risultato l'Uruguay è campione. il Brasile è una bestia ferita e impazzita, 10 uomini in area Celeste. E Varela urla come un forsennato, (la leggende dice che lo si sente fin da fuori il colossale impianto), dirige la difesa, prende a sberle i suoi. Fino al fischio finale che laurea l'Uruguay campione del mondo per la seconda volta.
L'Uruguay fu sfollato a forza dal campo, il Maracanà non aveva transenne nè reti di protezione, e i giocatori vennero immediatamente messi su un aereo per Montevideo. Nel tragitto Ghiggia venne raggiunto e gliene diedero talmente tante che fu costretto in stampelle per quasi un anno.
Quel giorno è ricordato come "Maracanaço", il disastro del Maracanà.
La Seleçao cambio la maglia, passando dal completo bianco ad una strana maglia azzurra, che fu la divisa ufficiale fino al 1954, quando adottò definitivamente l'attuale divisa con maglia oro e pantaloncini blu.
Ary Barroso, il musicista-giornalista che aveva commentato la partita per la radio lasciò il giornalismo e non commentò mai più una partita di calcio.
Flàvio Costa, l'allenatore del Brasile, fuggì in Portogallo dopo aver ricevuto minacce di morte, e non ritornò fino al 1955, quando si risedette sulla panchina del Flamengo e della Seleçao.
Il portiere Barbosa fu additato per il resto della sua vita come responsabile della disfatta, morì per un attacco cardiaco a settantanove anni, dopo aver trascorso il resto della sua esistenza nell'indifferenza generale.
Nel 1955 il difensore brasiliano Danilo, che non aveva mai superato il trauma del Maracanaço e da 5 anni viveva affetto da grave depressione, tentò il suicidio.
Juan Alberto Schiaffino disse: "Eravamo felici e imbarazzati, allegri e commossi. Mai avevamo visto, né avremmo visto, un popolo soffrire in quel modo. Sentivamo, appena, qualche singhiozzo. L'atmosfera era da film. Da film del terrore".
Osvaldo Soriano, nel suo bellissimo "Fùtbol" racconta un'altra storia:
"Quella notte Obdulio non lascia Rio. Si confonde fra i tanti brasiliani che prendono d’assalto, disperati, i tanti bar della città. Beve con loro, ne condivide l’amarezza. E’ una strana notte di gioia e lacrime, che racconta con queste parole: “Il proprietario del bar si è avvicinato a noi insieme a quel tizio grande e grosso che piangeva. Gli ha detto: – Lo sa chi è questo qui? E’ Obdulio – . Io ho pensato che il tizio mi avrebbe ammazzato. Ma mi ha guardato, mi ha abbracciato e ha continuato a piangere. Subito dopo mi ha detto: – Obdulio, accetta di venire a bere un bicchiere con noi? Vogliamo dimenticare, capisce? Come potevo dirgli di no? Abbiamo passato tutta la notte a sbevazzare da un bar all’altro"
Obdulio Varela non si vantò mai di quanto fatto. Le poche volte che parlava di quello che era successo quel giorno, diceva: «Gli abbiamo rovinato la festa, non ne avevamo il diritto e, se rigiocassimo cento volte, perderemmo tutte e cento».
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